CARATTERISTICHE
Difficoltà: E
Dislivello: 1260m
Distanza: 14 km
Tempo di percorrenza: 4,55 h – ritorno (3,55 h)
DESCRIZIONE ITINERARIO
Partenza dalla Maddalena mt 770 ex scuola lungo la Provinciale che sale all’Alpe Colmbino alla prima curva a sinistra proseguire a destra, da qui parte il percorso con il numero ETOS 453000 per borgata Viretta , quindi per borgata Savoia di seguito proseguire sopra Prese Gros , proseguire e passare nella Borgata Clon dopo il sentiero prosegue oltrepassando appena sopra Case Maritano in disuso, raggiungendo il Colletto del Forno mt 1140 . e qui termina il sentiero 4530000. Il percorso prosegue sul tracciato ETOS 4130000 fino nei pressi della Pisi mt 1200. dove incrocia il sentiero ETOS 4140000 proveniente dal Forno di Coazze il quale raggiunge il Colle della Russa mt. 2030 Passando per il rifugio Palazzina di Sertorio mt.1450 , il Rifugio Fontana Mura all’Alpe Sellerì mt. 1730 , per finire al Colle della Russa mt.2030.
Brevi cenni storici
Maddalena
Il nucleo principale della frazione è caratterizzato dalla chiesa parrocchiale dedicata a Santa Maria Maddalena, fatta costruire nel 1780 da Francesco Ferrero, vicario generale del cardinal Gerdil, abate di San Michele che stabilì anche l’indipendenza della parrocchia dalla Collegiata di San Lorenzo. All’inizio del ‘900 la frazione contava la presenza di 27 borgate abitate stabilmente e ben 10 scuole. Al censimento del 1901 i residenti risultarono essere 2700, contro i 497 del 1998 mentre l’intero Comune di Giaveno ne contava poco più di 8000. Negli anni successivi, soprattutto nel periodo tra le due guerre, si verificò una massiccia emigrazione diretta soprattutto verso la Francia del nord e l’area metropolitana parigina.
La Comba di Fronteglio e il Colletto del Forno
A partire dalla borgata Viretto l’itinerario si svolge sulla testata del vallone del torrente Fronteglio (Cumba d’Fruntei), affluente di destra del Sangone in cui si getta a Ponte Pietra, a breve distanza dalla confluenza del Tauneri nel Sangone stesso. La Cumba era un tempo densamente popolata, come testimoniano le numerose borgate abbandonate sugli opposti versanti del vallone. Tali borgate erano sotto la giurisdizione della parrocchia di Maddalena, nel cui cimitero venivano sepolti i defunti della valle, che vi giungevano attraverso quello che ancora adesso viene ricordato come il “Sentiero dei morti”.
Il Colletto del Forno è un comodo valico che mette in comunicazione la Comba di Fronteglio con le borgate di Forno di Coazze. Nei suoi pressi si trovano un’ottima fontana, alcuni gruppi di baite e una chiesetta dedicata a San Bartolomeo. Il 23 settembre 1943 i nazifascisti vi giustiziarono il pittore giavenese Maurizio Guglielmino. Nello stesso giorno a Forno era stata uccisa la giovane Evelina Ostorero, che risultò essere la prima vittima civile della Guerra di Liberazione.
Il vallone del Meinardo e le tracce dell’antica attività mineraria di Forno
Secondo la tradizione, verso la metà del XII secolo nella valle del rio Meinardo furono aperte cave e miniere da cui si estraeva materiale ferroso. In regione Carassi fino a non molto tempo fa si trovavano ancora resti di costruzioni legate a questa attività. A Forno giungeva anche il materiale ferroso estratto dalla miniera della Bocciarda (territorio di Perosa Argentina), trasportato a dorso di mulo attraverso il Colle della Meina, che del vallone costituisce la testata. Dopo un primo trattamento il materiale veniva inviato verso le fonderie e le fucine giavenesi lungo il percorso che toccava la borgata Portiglia, il Colletto, la Comba di Fronteglio e la borgata Ponte Pietra. Per lungo tempo questo tracciato costituì per gli abitanti delle borgate di Forno la più comoda via di accesso al territorio giavenese.
La Palazzina Sertorio (ora Osservatorio per l’ambiente alpino).
ll solido edificio fu fatto costruire nel1909 in località Pian Tolone da Luchino Sertorio, titolare dell’omonima cartiera, come punto di appoggio delle battute di caccia che si svolgevano nella riserva privata della famiglia situata nella zona nota come “Malezei” che si estendeva sulla destra orografica del Sangone alle pendici del monte Bocciarda. Distrutto da una valanga, fu ricostruito nel 1917 ad opera di prigionieri di guerra austroungarici e munito di un robusto paravalanghe. Nel corso del rastrellamento del 10 maggio 1944 la palazzina in cui si trovava un gruppo di partigiani fu attaccata a colpi i mortaio e incendiata dai nazifascisti. Con il favore di una fitta nebbia i partigiani riuscirono a fuggire. Unica vittima dello scontro fu il giovane siciliano Liborio Ilardi, a cui nel 2008 fu dedicato in loco un pregevole monumento. Nel 1988 l’edificio fu acquisito dalla Comunità Montana Val Sangone che ne curò il restauro e lo destinò a fini turistici e culturali.
Il forte di San Moritio
Tra gli alpeggi Sellery Inferiore e Superiore, sulla vetta della modesta altura nota come Truc del Forte appaiono ancora evidenti i resti di un’antica struttura militare a pianta stellare, costituito originariamente da cinque salienti in terra inerbita, rivestiti internamente da muri in pietra a secco. La sua costruzione, voluta da Carlo Emanuele I di Savoia, risale al 1628, nell’ottica della predisposizione di difese contro una temuta invasione del Ducato a opera dei Francesi di Luigi XIII, nel corso della guerra per la successione del Ducato di Mantova. La realizzazione dell’opera fu affidata all’ingegnere luganese Tomaso Stasio, alle dipendenze del capo degli ingegneri Carlo di Casteliamonte. In questa occasione il forte non fu teatro di battaglie, avendo i Francesi scelto per l’invasione del Piemonte la via della Val Varaita, dove furono fermati a Sanpeyre. Tra il 1690 il 1693 il forte (in quel tempo indicato come forte di Chelery) fu nuovamente presidiato dalle forze piemontesi che fronteggiavano le truppe del generale francese Nicolas Catinat attestate sul Colle della Roussa. Secondo la tradizione (non sufficientemente confermata da documenti storici) il forte sarebbe stato in questa occasione sottoposto al tiro dei mortai francesi piazzati sui contrafforti rocciosi del versante meridionale della Punta dell’Ila, denominati appunto Rocce dei Mortai. L’opera non andò comunque distrutta, dal momento che numerosi elementi fanno pensare a un suo costante utilizzo in chiave difensiva ancora nel corso del Settecento.
Il Colle della Roussa
Il Colle della Roussa (m. 2019) divenne valico di confine, fin da quando, dopo la morte di Adelaide (avvenuta attorno al 1090), il conte d’Albon, Ghigo III signore di Vienne, si impossessò dell’alta valle del Chisone (chiamata in quel tempo Val Pragelato). La Val Pragelato divenne così, con l’alta Val di Susa e l’alta Val Varaita, uno dei tre Escartons cisalpini del Delfinato. Nel 1349, con il passaggio a vita monastica del Delfino Umberto II, il Definato entrò a far parte del Regno di Francia. Lo spartiacque Sangone-Chisone cessò di essere confine di stato tra il ducato di Savoia e il regno di Francia con il Trattato di Utrecht (1713). A causa della sua posizione strategica, iI Colle della Roussa fu in più occasioni oggetto di pressioni da parte di potenziali invasori. Durante la Guerra per il Marchesato di Saluzzo (1590-1601) fu presidiato dalle milizie di Giaveno e Coazze, per prevenire l’attacco da parte delle truppe francesi al comando del generale ugonotto Lesdiguières. In realtà ad attraversarlo furono solo, nel 1597, le truppe sabaude nel corso dei ripetuti tentativi (infruttuosi) di occupare la Val Pragelato. Nel 1628, come già ricordato. nel corso della Guerra per il Ducato di Mantova, a difesa del colle i Savoia fecero costruire il Forte di San Moritio , che non fu però impegnato in operazioni belliche. Tra il 1690 e il 1693 sul colle erano attestate le truppe francesi del Catinat. La Val Sangone fu in quell’occasione invasa dai Francesi, che vi giunsero però da Pinerolo attraverso la pianura, e dopo aver espugnato la piazzaforte ormai sguarnita di Avigliana. L’unica vera invasione attraverso il colle avvenne nell’agosto e nel settembre del 1799, in piena era napoleonica, quando le truppe francesi scesero in Val Sangone impegnando gli Austriaci e i Russi, che presidiavano il Piemonte abbandonato dal sovrano Carlo Emanuele, rifugiatosi in Sardegna per sfuggire la minaccia giacobina. Nel 1944 il colle fu anche disceso a più riprese dai nazifascisti, nel corso dei rastrellamenti volti a eliminare la minaccia partigiana.
A cura di Livio Lussiana
Realizzato in collaborazione con il Club Alpino Italiano sezione di Giaveno